A Taranto c’è un fiume, di nome Tara, che scorre nella periferia della città tra la folta vegetazione, melmoso, quasi nascosto, oltre le strade, ma conosciuto e amato da chi l’ha frequentato e continua a frequentarlo nonostante la cattiva condizione delle sue acque inquinate i cui valori sono fuori dalle norme. A questo fiume, alle persone che lo popolano, ai suoi dintorni e, più in generale, a Taranto – ma con uno sguardo differente dai tanti film girati nella città dei due mari, che qui fa da «sfondo», pur ben presente con il suo corpo al tempo stesso vivo e martoriato – è dedicato Tara (questa sera alle 19 al cinema Arlecchino di Milano nell’ambito della quarantaduesima edizione di Filmmaker), documentario di Volker Sattel (cineasta tedesco e direttore della fotografia, fra gli altri, di Europe di Philip Scheffner, altro titolo in concorso del festival, in visione domani alle 18.45 nella stessa sala) e Francesca Bertin (regista veneta che nei suoi lavori documentari esprime una particolare attenzione verso l’architettura e il mondo dell’arte).
«TARA» è la seconda collaborazione di Sattel e Bertin dopo La cupola del 2016. Il fiume tarantino è il personaggio principale del film, attorno a esso ruotano le tante figure che lo eleggono a posto privilegiato di incontro, di storie, a volte di leggende. Sono adulti e giovani. Fanno il bagno, si tuffano, stazionano, parlano, giocano. Le cose accadono sopra e sotto la superficie del Tara. Al di là, in lontananza, esistono quartieri, ponti, edifici industriali, case antiche, giardini, posti abbandonati, e l’ombra dell’Ilva o di discariche non regolamentate. Si tratta di luoghi da scoprire al pari del fiume e delle sue pieghe naturali, che servono ai registi per comporre un ritratto corale, sociale, ambientale di un territorio tra i più devastati d’Italia eppure resistente. C’è un attaccamento, fino all’incoscienza, da parte degli avventori del Tara. Molti di loro continuano a tramandarsi e a raccontarsi storie che parlano delle virtù guaritrici del fiume per esseri umani e animali, anche se la realtà dice ben altro e il film lo esprime attraverso il lavoro di una ricercatrice che fa rilevamenti dell’acqua attestanti il pessimo stato di salute dell’ambiente. Sattel e Bertin si immergono in quel set alternando al realismo strati più onirici, si pensi alla cavità di un albero percorsa da due donne che sembra fare da passaggio per entrare in un’altra dimensione. Alla fine si torna alle zone del fiume, ai ragazzini che camminano e chiacchierano, con la macchina da presa che si allontana da loro. Un film di vicinanze e distanze per riflettere, da un punto di vista inedito, sulla «questione Taranto».
«TARA» è la seconda collaborazione di Sattel e Bertin dopo La cupola del 2016. Il fiume tarantino è il personaggio principale del film, attorno a esso ruotano le tante figure che lo eleggono a posto privilegiato di incontro, di storie, a volte di leggende. Sono adulti e giovani. Fanno il bagno, si tuffano, stazionano, parlano, giocano. Le cose accadono sopra e sotto la superficie del Tara. Al di là, in lontananza, esistono quartieri, ponti, edifici industriali, case antiche, giardini, posti abbandonati, e l’ombra dell’Ilva o di discariche non regolamentate. Si tratta di luoghi da scoprire al pari del fiume e delle sue pieghe naturali, che servono ai registi per comporre un ritratto corale, sociale, ambientale di un territorio tra i più devastati d’Italia eppure resistente. C’è un attaccamento, fino all’incoscienza, da parte degli avventori del Tara. Molti di loro continuano a tramandarsi e a raccontarsi storie che parlano delle virtù guaritrici del fiume per esseri umani e animali, anche se la realtà dice ben altro e il film lo esprime attraverso il lavoro di una ricercatrice che fa rilevamenti dell’acqua attestanti il pessimo stato di salute dell’ambiente. Sattel e Bertin si immergono in quel set alternando al realismo strati più onirici, si pensi alla cavità di un albero percorsa da due donne che sembra fare da passaggio per entrare in un’altra dimensione. Alla fine si torna alle zone del fiume, ai ragazzini che camminano e chiacchierano, con la macchina da presa che si allontana da loro. Un film di vicinanze e distanze per riflettere, da un punto di vista inedito, sulla «questione Taranto».